Fa bella mostra di sè in un angolo della terrazza e tra poco sarà piena di fiorellini rosa.
Non conosco il suo nome: forse una delle tante specie di Sedum… non lo so.

Non importa come si chiami perché per me rappresenta la continuità della vita oltre la vita.
La mia mamma era un’ottima cuoca, sapeva lavorare benissimo ai ferri, ma non aveva certo il pollice verde.
Le piante nelle terrazze allora non erano di tutte le varietà che troviamo oggi: c’era l’asparagina, altre piante con delle grandi foglie oblunghe, la ‘miseria’ e la ‘ricchezza’, qualche geranio e si iniziava ad avere qualche pianta grassa.
La nostra cara vicina di casa, la maestra, si ostinava a prepararle vasi con piante per la terrazza, ma dopo poco tempo morivano.
Ed allora ecco i rimbrotti: sora Bia’, ma gliel’ha data un po’ d’acqua?
Mamma borbottava qualcosa : un sì che non era poi così tanto affermativo…
Ma quel giorno, così lontano nel tempo, lo ricordo con estrema nitidezza… se le more [muore] anche questa non so più che farle!
Quella pianta non è morta: è sopravvissuta a tutte le intemperie, e non solo metereologiche, in un angolo del terrazzino della mia casa di Bettona.
C’è voluto qualche anno, dopo la mancanza dei miei genitori, prima che mi decidessi di portarla qui: temevo troppo che morisse anche lei e che si spezzassero quei legami e quei ricordi che pensavo la tenessero in vita lì e solo lì.
Invece è qui a farmi compagnia come l’ha fatta ai miei genitori su quel terrazzino dove hanno passato tante ore dei loro ultimi anni.