ALLA RICERCA DI SE’

“Testimone inconsapevole” di Gianrico Carofiglio (Sellerio editore)

Quando terminai di leggere questo libro, ero in uno stato d’animo completamente diverso da quello attuale. Avveniva prima dell’8 gennaio 2007  – data memorabile, almeno per me, l’inizio della mia terza vita – e non riuscivo a mettere insieme le parole per esprimere razionalmente le sensazioni provate nel corso della lettura. Le cause di questa mia temporanea afasia sono facilmente immaginabili per chi mi conosce e mi pratica. Passata la bufera, riesco adesso a ridare forma ai miei pensieri, che proprio quel vento impetuoso aveva disperso, anche se ancora le idee riescono a farsi strada nella mente con una certa difficoltà. Per rubare il titolo all’autore, questo libro è stato “testimone inconsapevole” del mio travaglio interiore. 
Avevo già assaporato la scrittura solida e compatta di Carofiglio (vedere post del 6 novembre 2006 su “Ad occhi chiusi”). Per questo, probabilmente, ho iniziato la lettura con un’idea preconcetta, indubbiamente falsata dall’approccio iniziale con lo scrittore, avvenuto attraverso un’opera, dalla quale risalta uno stile più maturo, che non si può pretendere di trovare in questa che è la sua opera prima di narratore. L’impressione, suscitata da queste pagine, è stata quella di uno scrittore alla ricerca di se stesso e del suo personale stile di raccontare. Nella lettura del precedente libro si aveva la precisa sensazione che tutti i personaggi, anche se incontrati per la prima volta, fossero, in un certo senso, familiari e parte integrante del mondo del racconto. Questa volta, mi è capitato di chiedermi spesso perché l’autore volesse dedicare così tante parole per delineare i contorni dei suoi personaggi, quasi temesse che il lettore li avvertisse estranei al mondo che prendeva vita e corpo nel corso della lettura. La prima opera di Carofiglio sembra rivolta ad un lettore pigro e dalla fantasia atrofizzata, che ha bisogno di conoscere una serie indefinita di dettagli su ogni singolo personaggio, per poterlo accettare come verosimile e riuscire in qualche modo ad immergersi nel mondo del racconto. Tralasciando, però, un certo indugiare prolisso in situazioni, che sono collaterali alla vicenda, ciò che si riesce a cogliere come elemento positivo è il fatto che una lettura del genere consente di sorprendere l’autore all’inizio del suo percorso artistico, quando ogni cosa è ancora in divenire e tutte le strade sono aperte, quando ancora si stanno affinando gli strumenti linguistici per esprimere quello che si sente dentro e che, a volte, non riesce a trovare immediata rispondenza nelle parole che si stanno tracciando sulla carta.
Potendo esprimere un’opinione strettamente legata al mio gusto personale, avrei preferito che l’autore avesse trasportato il lettore direttamente “in medias res”. Sono certo che la qualità della narrazione, specialmente se si considera il genere di riferimento della detective story, avrebbe avuto senz’altro molto da guadagnare, creando fin dalle prime pagine quell’atmosfera di incertezza e di mistero che caratterizza il genere.
Quanto alla scelta dell’ambientazione del racconto nella città di Bari, credo che le storie di Carofiglio non potrebbero essere ambientate altrimenti che in un luogo che l’autore conosce alla perfezione e sa ritrarre con pochi tratti essenziali, incorporandolo nella trama della narrazione.
C’è, infine, qualche considerazione da fare sul significato di scrittura e riscrittura. Esistono narratori che hanno la buona pratica di produrre versioni differenti della stessa storia e questo è, in senso stretto, il significato di riscrittura. Ci sono prove celebri offerte da Manzoni ed altre non meno interessanti offerte da Carver. Ci sono, poi, altri autori che, nel corso della loro esperienza narrativa, non fanno altro che raccontare in trame e in libri diversi la stessa storia. Stessi personaggi principali, stessi luoghi, stesso andamento del racconto. Cambiano solo alcuni personaggi secondari e alcuni dettagli, spesso del tutto ininfluenti per la storia narrata. È quello che si potrebbe definire il meccanismo della serializzazione. Chi ne guadagna dalla riscrittura di entrambi i tipi è lo stile, che si affina, si fa più asciutto ed allusivo e, soprattutto, più personale. Così è facile riconoscere fin dai primi paragrafi un libro di Simenon, uno di Gadda, oppure uno di Pavese, come, del resto, dalle pennellate, dai colori o dalla luce si riconosce un quadro di van Gogh, di Renoir o di Cezanne. Carofiglio ha scelto la seconda modalità di riscrittura, sorprendendo il lettore per aver raggiunto con pochi tentativi un notevole equilibrio stilistico tra storia narrata e linguaggio usato.

Dedicato a mio cugino Francesco, nel giorno del suo compleanno.

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