LE CENERI DELLA MEMORIA

“Le ceneri di Angela” di Frank McCourt (Adelphi)

Il mio amore per la scrittura di Frank McCourt, solida e leggera al tempo stesso, è nato a prima vista, tra le pagine del suo terzo romanzo, “Ehi, prof!”, dove descrive la sua lunghissima attività di insegnante in una scuola superiore americana. Interrotta temporaneamente questa lettura, come a volte capita quando qualcosa di più interessante o di più necessario monopolizza l’attenzione, ho invece divorato – termine, nell’occasione, assai inesatto ed approssimativo – le pagine dell’opera di esordio di McCourt. 
In realtà queste pagine, più che divorarle, le ho assaporate e gustate fino in fondo, come un buon formaggio stagionato o un eccellente vino d’annata, piacevolmente sorpreso dal fatto che lo scrittore irlandese fosse riuscito a fare centro al suo primo tentativo.
Uno scrittore stilisticamente maturo fin dall’esordio è, generalmente, cosa tanto rara quanto preziosa. Nella maggior parte dei casi, lo stile è una lenta e faticosa conquista,che passa attraverso decine di tentativi ed errori, frequenti riscritture di brani che, appena usciti dalla penna, si credevano assolutamente perfetti. Eppure, già dal suo primo romanzo, lo scrittore manifesta la sua “autorialità”, quella rara capacità di arricchire lo spirito e la mente di quanti attraversano le pagine di un vero artista. Se si scorrono le sue note biografiche, si scopre che il successo di McCourt non è, in alcun modo, dovuto al caso, ma al continuo allenamento alla scrittura, praticato nel corso dei lunghi anni della sua carriera di insegnante.
Ecco un altro dei testi letti durante la mia lunga degenza ospedaliera. Non certamente un testo leggero, al pari di altri di cui ho già parlato, piuttosto un’opera narrativa che si avvale di una scrittura qualitativamente elevata, complessa nella sua semplicità e particolarmente personale. Una scrittura “confidenziale”, termine con cui venivano definiti certi cantanti di fine anni ’50, quando si voleva intendere che parlavano, sottovoce e con discrezione, al cuore ed ai sentimenti di chi li sapeva ascoltare. McCourt è riuscito a trasfigurare, con l’ironico distacco del ricordo, vicende che altrimenti sarebbero la normale cronaca di un’esistenza quotidiana, fatta di stenti e sofferenze. Invece, tutto scorre leggero, in un intreccio di storie a volte persino incredibili nel loro crudo realismo.
Il tempo, per fortuna o purtroppo, consuma i ricordi, assottigliandoli, limandone i contorni e rendendoli indefiniti Quello che resta è una polvere sottile, alla quale cerchiamo, di tanto in tanto, di ridare forma e spessore, ricombinandola, tuttavia, in maniera diversa, spesso quasi casuale,
Avevo già apprezzato la versione cinematografica del romanzo, della quale conservo soprattutto il ricordo di due immagini: la faccia dura e caparbia di Angela e di quella del piccolo Frank, altrettanto dura e caparbia.
Leggendo questo libro, mi sono tornate in mente situazioni ed esperienze vissute nella mia infanzia, quando la povertà, e persino la miseria, erano la regola e un timido benessere l’eccezione. I miei coetanei, quelli la cui infanzia si colloca a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, ricorderanno senz’altro quel tempo in cui i desideri, diversamente da quello che accade oggi, superavano di gran lunga le possibilità. Se credevamo, ed abbiamo creduto anche in seguito, di essere stati poveri, basta leggere questo libro per avere un’immagine della reale povertà.
La produzione di McCourt, come quella di un ottimo vino d’annata, è molto ridotta e va gustata fino all’ultima parola. Non senza ironia, a chi gli chiede il motivo di una produzione così modesta, e del perché ha iniziato a dedicarsi alla scrittura a tempo pieno in così tarda età, lui è solito rispondere: “Prima non avevo tempo, dovevo lavorare”. Se avete bisogno di togliere un po’ di polvere dai ripostigli della memoria, se credete che la vostra esistenza sia la più infelice delle esistenze possibili, leggete questo libro. Non può farvi che bene.

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