IL FASCINO DISCRETO DELL’IMMAGINARIO

“Il Cristo Cancellatore non è risorto” di Aldo Merce (La lumaca golosa Edizioni – Villanova di Bagnacavallo). Nella sterminata biblioteca di Babele di borgesiana memoria esiste senz’altro uno scaffale dedicato ai non-libri. Come i libri si nutrono di parole, così i non- libri si nutrono di silenzi, al più di intenzioni inespresse. È stato dal bianco abbacinante della pagina che sono emersi dapprima segni incerti, poi grafemi, fino a comporre frasi di senso apparentemente compiuto, quel senso che nella conversazione ininterrotta tra chi scrive e chi legge, spetta al lettore attribuire.
Finché si resta sul piano dell’associazione tra oggetti e nomi, la cultura e l’esperienza accumulate nel corso di una vita, pur vissuta con diversi gradi di intensità, hanno gioco facile. Leggiamo “cane” e subito pensiamo a un cane, leggiamo “mano” e immediatamente il pensiero va alla mano. Quando, però, il testo è altro dal testo, allora il pensiero non può che arrestarsi di fronte a quella barriera di silenzio. Il pensiero, d’altronde, ha la prerogativa di superare tutte le barriere, anche quelle opposte da una pagina vuota, perciò tenta di creare senso anche laddove non ne esiste alcuno, almeno all’apparenza. Il testo, allora, diventa immagine che, più che a decodifica o a lettura, va sottoposta a interpretazione, alla ricerca di sensazioni più che di sensi.
L’opera di Aldo Merce, che attiene alla categoria dei libri d’artista, richiama, attraverso un evidente gioco di rimandi, “Il Cristo Cancellatore” di Emilio Isgrò, e la sua teoria della cancellatura, rappresentando, oltre che una citazione, un esercizio di stile, per così dire, sul tema dell’intervento artistico sul testo.
A partire dall’originale, l’artista Isgrò interviene sulla pagina cancellando parole e frasi, fino a lasciare scoperti gruppi di simboli che, una volta letti, acquistano un significato completamente diverso. Al termine dell’operazione, la pagina si mostra piena di segni neri, parole eliminate per fare posto al silenzio. I rari fonemi superstiti invitano ad un’ulteriore riflessione sul senso del segno, della scrittura e dello scrivere in generale, che spinge a considerare se a volte il silenzio possa essere più comunicativo di qualunque parola. Il Cristo Cancellatore di Isgrò è colui che verrà per giudicare i vivi e i morti, a marcare con un segno nero le parole condannate all’eterno oblio, salvando le altre.
Dove la pagina è nera, non c’è nulla da salvare o condannare, non c’è nulla da giudicare. Inutile quindi ogni resurrezione. Il testo diventa in realtà un pre-testo, stabilendo un perfetto equilibrio tra ironia e nonsenso; nessun intervento, nemmeno quello divino potrà cancellare i segni invisibili, annegati nel nero della pagina, e lasciare salvi i redenti, significanti o meno.
Per Aldo Merce il Cristo Cancellatore non è risorto, la pagina si mostra desolatamente nera e vuota, al più attraversata da qualche accenno di grafema a cui è difficile, se non impossibile, attribuire un qualunque significato. Una pagina che provoca sconcerto e dolore per quello che avrebbe potuto essere e invece non è stata, una congerie di significanti a cui ciascun lettore ogni volta si impegna ad attribuire altrettanti significati. Il compito del lettore, però, si esaurisce in presenza della pagina nera; non pagina vuota, s’intende, ma piena e ricca di tutto quello che la fantasia umana riesce a concepire. In conclusione, un invito e un suggerimento: immaginare per credere.

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